IL MIO ANGELO DELLA BELLEZZA (parte prima)

(di Denise Ruggeri, II C scientifico)
Non una parola uscì dalle mie labbra; la fine di quel magnifico libro mi aveva lasciata a bocca aperta. Mi sentii quasi realizzata, ma comunque presa alla sprovvista.
«Wow» riuscii solo a dire.
Iniziai a contemplare il significato di quel racconto, o almeno ci provai. Mi balenarono in testa citazioni, frasi e ripensai ai personaggi, alle loro azioni, alla trama e alla storia in sé, com’è mio solito fare una volta finito un libro.
Compresi la morte di Dorian Gray, ma forse non a pieno. Venne ucciso dalla sua stessa bellezza, corrotto dopo aver fatto un patto col diavolo.
Compresi che Oscar Wilde diede rilievo alla bellezza estetica e dell’anima, denunciando il fatto che la società del suo tempo desse importanza alla prima più che alla seconda. E’ strano, però, come questo aspetto non sia ancora cambiato a distanza di due secoli.
La mia mente iniziò a divagare e mi ritrovai ad aver formulato una lunga serie di riflessioni, ognuna delle quali era priva di una vera e propria conclusione.
“La bellezza dell’anima” pensai. Cosa, esattamente, rende la propria anima degna dell’aggettivo “bello”?
Magari fare buone azioni, carità, penitenze. Magari ancora la beneficenza, l’aiutare il prossimo, il perdono … ma quali erano i canoni di bellezza?
E la bellezza estetica? Quella bellezza che ti attrae fisicamente. Chi era a stabilire se una persona o un oggetto fosse bello o meno?
Poi come dimenticarsi della bellezza di un paesaggio, dei bambini che giocano, di un fiore o di un campo di grano?
Erano queste le cose belle? Questo era il vero significato di bellezza?
Poi mi ricordai di un fatto, e pensai subito che la bellezza non era solo una questione di esteriorità o interiorità, proprio no.
Ricordai di quella volta in cui andai con la mia famiglia a fare un picnic in un grande parco vicino la nostra città. Mio fratello era molto più grande di me, così se ne stava da solo ed io facevo lo stesso. Non avendo nulla da fare, girovagai per l’area e vidi un gigantesco pesco in fiore. Rimasi ad ammirarlo per ore: era affascinante, maestoso, profumato; era l’esempio di una vita pura, senza filtri, e mi venne l’impulso di gridare quanto fosse bello. Quanto io lo trovassi bello.
Molti lo avrebbero trovato brutto e noioso, magari per gli anni che si portava sulle spalle, o magari perché i noiosi erano proprio loro.
Io, invece, ho ancora riflesse nel cuore le emozioni che quel semplice albero mi fece provare. Avevo 8 anni, perciò successe circa cinque anni fa, ma riesco tutt’ora a sentire nel corpo le vibrazioni, i fremiti causati dalla voglia di rimanere lì ad ammirarlo per sempre. Desideravo essere quel pesco, anche solo per un giorno, per provare cosa significasse stare semplicemente lì, a non fare nulla, e riuscire comunque a significare tante cose.
No, la bellezza non poteva fermarsi all’apparenza. Mi rifiutavo di credere a quel banale pensiero comune e andai in cerca di spiegazioni e nuove opinioni.
Decisi di iniziare da mamma, quindi mi alzai dal mio comodo letto e la raggiunsi in cucina.

(continua)