IL MIO ANGELO DELLA BELLEZZA (parte seconda)

(di Denise Ruggeri, II C scientifico)
«Mamma» la chiamai pensierosa, ma decisa.
«Sì?» rispose senza distogliere lo sguardo da quelle che credo fossero varie bollette da pagare.
 «Che cos’è la bellezza?» le chiesi vogliosa di una risposta.
Mi guardò un momento e poi fece spallucce dicendo «E’ ciò che non è brutto, tesoro. Un ragazzo è bello se veste bene o ha una bella faccia, è invece brutto se non ce l’ha».
Scossi la testa insoddisfatta e risposi veloce «E chi dice se Luca ha una bella faccia o no? Cosa deve avere una faccia per essere bella? O una maglietta? Cosa non la rende brutta?»
Mia madre posò finalmente sul tavolo i fogli bianchi e mi guardò con più attenzione, quasi divertita dal mio tono curioso da giovane esploratrice, che in realtà era più che serio.
«Cara, la bellezza di un volto sta nei suoi lineamenti, nelle labbra curve e carnose, nel naso né troppo smilzo né troppo adunco, nelle orecchie della giusta grandezza. Se Luca avesse avuto bocca storta, naso a patata e orecchie a sventola, non sarebbe stato di certo una gran bellezza! Non lo dico io! Chiedi pure a qualcun altro. Ma come mai tutte queste domande? Non sarà mica che ti ritieni brutta, vero, cara mia? Perché non lo sei affatto».
«Se Luca avesse avuto bocca storta, naso a patata e orecchie a sventola, per te sarebbe stato orrendo?» chiesi quasi incredula.
«Certo che no, sarebbe comunque mio figlio! Come potrei ritenerlo orrendo!?»
«E’ proprio questo il punto! Come puoi dire orrendo ad un ragazzo, quando, se tuo figlio fosse uguale, per te sarebbe stupendo? Non possono esserci dei canoni di bellezza, se tutti la pensiamo in modi diversi. E allora perché ci sono?» sentenziai, amareggiata dal fatto che il mio desiderio di avere più informazioni non si stesse per niente avverando.
«Ognuno è libero di pensarla come meglio crede, Elizabeth. Si può essere brutti come si può essere belli, non solleviamo polveroni dal nulla! La bellezza non è una questione di stato». Detto ciò, riprese a leggere i fogli di carta che aveva posto sul tavolo e smise di prestarmi attenzione.
Insoddisfatta, uscii dalla cucina e mi recai dritta verso lo studio di mio padre, in fondo al corridoio, sicura di trovarlo lì.
Bussai cauta e impaziente alla porta e aspettai un invito ad entrare, che non tardò ad arrivare.
                                                                                                                                                         (continua)