Gli studenti dell’Impallomeni incontrano il giudice Di Bella

Il promotore del progetto “Liberi di Scegliere” racconta come ha liberato i “figli di ‘ndrangheta”.

Irene Tambato, IC Liceo Scientifico

L’8 marzo scorso, alcune classi del Liceo “Impallomeni” hanno incontrato in videoconferenza il giudice Roberto Di Bella, Presidente del Tribunale dei minori di Catania, autore del libro “Liberi di scegliere” e promotore dell’omonimo progetto.

Dopo i saluti istituzionali della Dirigente, Francesca Currò, la moderatrice Bruna Siviglia ha illustrato la genesi del progetto volto ad offrire ai “figli di ‘ndrangheta” la possibilità di allontanarsi dalle famiglie criminali. Un vero e proprio programma di recupero che è andato oltre le aule dei tribunali con l’obiettivo di sensibilizzare la società civile e soprattutto i giovani. A questo fine è nato anche il film “Liberi di scegliere”, prodotto per RAI-fiction e ispirato alla vicenda del magistrato.

La parola è poi passata al giudice che, in apertura, riferendosi alla Giornata internazionale della donna, ha voluto ricordare la condizione delle donne di ‘ndrangheta, vittime di padri e mariti, condannate spesso a rimanere “vedove bianche” o a veder morire i propri figli. Ha ribadito la necessità di aiutarle ad affrancarsi e ricordato come molte di loro, negli ultimi anni, abbiano iniziato a collaborare con la giustizia.

Il magistrato ha poi raccontato la sua ventennale esperienza presso il Tribunale dei minori di Reggio Calabria, dove si è trovato di fronte imputati minorenni costretti a seguire le orme dei padri. Si è reso così conto che la “’ndrangheta non si sceglie ma si eredita” e ha cominciato a guardare “oltre” quei minori criminali: “Ho capito - ha affermato - che dovevo e potevo fare di più per sottrarli ad un destino già segnato”. Molti ragazzi, da quel momento, hanno avuto la possibilità di entrare in un sistema di protezione, di allontanarsi dalle famiglie e scegliere liberamente il proprio futuro.  

Di Bella ha anche ricordato il primo caso che ha dovuto affrontare come giudice minorile: l’omicidio di Annunziata Giacobbe, uccisa insieme al cugino e sgozzata con un gancio da macellaio. La cosa più sconvolgente per lui fu il silenzio seguito a quell’efferato delitto: “Nessuna fiaccolata fu organizzata in memoria di quei ragazzi giovanissimi - ha affermato – in quel momento capii veramente quanto ramificata fosse la cultura mafiosa in quel territorio dove nessuno osava ribellarsi”. Il giudice ha concluso sottolineando l’importanza della Scuola, un luogo che consente di crescere e confrontarsi, di formare la propria coscienza civile.

La seconda parte dell’incontro è stata dedicata alle domande degli studenti.  Rachele Gitto, della ICS, ha chiesto al giudice di spiegare in cosa consista la differenza tra “cosa nostra” e ‘ndrangheta. Il giudice ha risposto che le due mafie, pur avendo simili finalità, hanno strutture differenti: i membri delle cosche calabresi sono legati da vincoli di parentela, mentre i clan siciliani comprendono anche figure esterne alla famiglia.

Michele Raschietti, della 4AC, ha chiesto quale valore abbiano oggi le carceri minorili e se siano realmente utili per il minore. Il giudice ha risposto che alla carcerazione si ricorre solo come extrema ratio; ha anche sottolineato che in carcere i ragazzi, guidati da professionisti, possono avere la possibilità di studiare o fare orientamento professionale.

Alice Trimboli, della 4CS, ha chiesto al giudice un parere sui punti oscuri della trattativa Stato-mafia e su come si possa alimentare la fiducia dei cittadini nei confronti dello Stato. Il presidente ha risposto che i colpevoli delle stragi di mafia degli anni ’90 sono oggi o morti o in carcere. Per il giudice, lo Stato è riuscito a ridimensionare la mafia siciliana e a rendere giustizia a coloro che sono morti lottando per la legalità. La Sicilia, in seguito a quella stagione, ha conosciuto un risveglio delle coscienze e della società civile, molto più presente anche con associazioni anti-mafia e antiracket.

Infine, la prof.ssa Campo ha chiesto al magistrato un parere sulla criminalità minorile nelle zone in cui viviamo. Il giudice ha dichiarato che tanto la realtà milazzese quanto quella barcellonese sono molto difficili e differiscono poco dal contesto catanese, dove, tra l’altro, si registra un tasso molto alto di dispersione scolastica, pari a circa il 22%.
“I giovani che non vanno a scuola - ha affermato Di Bella - diventano facile preda delle associazioni criminali. Uno dei primi sintomi della povertà educativa è proprio la presenza di imputati minorenni che non sanno né leggere né scrivere”. Su questo fronte, il giudice si sta impegnando attraverso protocolli di intesa tra le istituzioni.

Alla fine dell’incontro, gli alunni si sono dichiarati pienamente soddisfatti: “sentire raccontare le vicende dalla viva voce del giudice - ha commentato Matteo Trinchera della 1CS - è stato emozionante, tutt’altra cosa rispetto che a leggerle sul libro”.

Significativo anche l’invito che la professoressa Campagna ha rivolto a noi alunni, quello a non essere Idiotai, cioè chiusi in un miope individualismo, ma Politai, cittadini consapevoli e pienamente partecipi della vita della nostra comunità.