(Virginia
Cricchio I C Scientifico)
Tra meno di un mese si compiranno 70 anni dall’entrata
in vigore della nostra Costituzione. Come sappiamo, per scriverla ed approvarla,
è stata eletta una commissione chiamata “Assemblea Costituente”, formata da 75
membri. Tra questi, uno che si è particolarmente distinto per il suo impegno su
alcuni problemi fondamentali è stato Piero Calamandrei. Recentemente, insieme
ai miei compagni di classe, ho avuto modo di leggere un suo testo. Questo
brano, tratto da un suo discorso in cui si rivolge a degli studenti, trasmette
un grande messaggio: la politica è di tutti. Non è solo di chi sta seduto su
quelle poltrone di velluto rosso, anzi la politica appartiene ancor di più ad
ogni cittadino italiano. All’interno di questo testo sono contenuti i veri
valori che tutti noi dovremmo avere. Al giorno d’oggi, i giovani, tanto quanto
gli adulti, provano non solo un senso di disinteresse e di totale non
appartenenza alla comunità in cui vivono, ma anche un sentimento di puro
disprezzo per questo mondo, in parte giustificabile. Ma, come afferma proprio
Calamandrei, «siamo tutti
sulla stessa barca e sarebbe bene che tutti ci impegnassimo a non farla
affondare». Oggi, soprattutto
a noi giovani, vengono insegnati la cultura europea e globale, l’ideale del
cittadino europeo ma ancor di più del cittadino mondiale, che di per sé sono concetti
bellissimi, ma che non ci devono far perdere di vista ciò che noi siamo prima
di questo: Italiani. Perché negli anni dell’Unità d’Italia, tra i soldati sul
Carso o tra i membri della Resistenza, si respirava aria di patriottismo? Perché
tra i giovani che protestavano negli anni ’50-’60 era chiaro ed evidente quel
comune senso di appartenenza ad una comunità, ad una società? Allora è proprio
vero che il bisogno di libertà, di democrazia, come l’aria, si avverte solo
quando manca. Strano, perché in fondo anche adesso, magari inconsapevolmente,
ne veniamo privati, eppure solo pochi provano questo snervante senso di
asfissia. Citando nuovamente l’autore, «il danno e
l’offesa maggiore per la nostra Costituzione, per quei valori che rappresentano
la vita di tantissimi uomini e donne e la loro lotta per il bene di questo
paese, è questo “indifferentismo politico” generale». Una vera e propria malattia per una nazione come la
nostra. Sarebbe ora che fossimo noi stessi a prendere in mano le redini del
nostro futuro. Ma non solo quelle del nostro in quanto individui, ma quelle del
nostro in quanto Italia. Il mio, e quello di Calamandrei, non è un invito alla
rivoluzione ma ad una riflessione personale. Un invito a capire che non è né
una laurea né un diritto al voto a permetterci di poter fare qualcosa, anche
molto piccola ed apparentemente insignificante, per il nostro Paese. Per farlo
sono necessarie tre piccole cose: senso di appartenenza ad una nazione, un
minimo di cultura etica, ma soprattutto tanta speranza e magari fiducia nel
cambiamento delle cose.