(di Giulio Adamo, IV C Liceo
Scientifico)
E’il 1941. Nei campi
di sterminio di Auschwitz, dove la vita è appesa ad un filo, un uomo sta per
rinunciare alla sua per salvare quella di un padre di famiglia, compiendo un
gesto eroico.
Quell’uomo
si chiama Maksymilian Maria Kolbe, è un parroco francescano polacco, trasportato
nel tristemente rinomato campo di concentramento pochi mesi prima.
Il forte
carattere di Maksymilian è del tutto fuori discussione ed emerge attraverso la
resistenza alle bastonate, subite in diverse occasioni dai tedeschi nella caparbietà
con cui celebra due volte la messa, nonostante ampiamente vietato.
Un giorno di
Agosto del 1941, in seguito alla fuga di uno dei prigionieri del Blocco 14, i
nazisti scelgono dieci uomini, condannandoli alla morte nel cosiddetto “Bunker
della fame”, dove non riceveranno viveri, fino a morire. Tra i dieci
uomini, uno, Franciszek Gajowniczek, scoppia in un pianto disperato, pregando
le truppe di risparmiarlo, in quanto padre di famiglia.
E' allora
che il prete polacco si offre di prendere il suo posto, consapevole che, grazie
a questo incredibile gesto, non salverà solo una vita dalla morte, ma anche
i suoi familiari da un dolore atroce…
E’ il 2018.
Sono ormai trascorsi settantasette anni da quel memorabile atto di coraggio e
umanità. Ma cosa è cambiato veramente? Possiamo realmente affermare che
qualcosa sia cambiato? No.
I conflitti
etnici persistono, non si attenua l’odio razziale, permangono i conflitti di
religione, aumentano i casi di omofobia, misoginia e xenofobia. Si assiste
increduli ad episodi di violenza nei confronti dei disabili.
E’ la paura
a prendere il sopravvento, ma questo non è vivere.
Perché
vivere nascosti per la paura, equivale a morire dentro; over temere i
tuoi “simili”, non ha senso.
Si celebra
oggi la Giornata della Memoria per le vittime della Shoah e la speranza che
vive in ognuno di noi, è che non ci debbano essere, in futuro, altri morti da
ricordare, altra violenza alla quale assistere.