IL MIO ANGELO DELLA BELLEZZA (parte quinta)

(di Denise Ruggeri, II C scientifico)
Dopo qualche lungo minuto di silenzio, si voltò verso di me e finalmente parlò.
«Cosa pensi delle macchine?»
Mi girai sorpresa verso di lui.
«Come?» chiesi confusa.
«Quando guardi una macchina passare, ti viene da pensare che sia bella?» chiese tornando a guardare la strada e le varie auto che passavano veloci.
Ci riflettei su, guardai anch’io le auto e alla fine risposi sinceramente.
«No, niente affatto».
«Okay. Perché?»
«Non lo so, non mi viene nemmeno da dire che siano brutte. Semplicemente non provo nulla quando le guardo».
«Bene, e sai perché?» chiese sorridendo.
Feci spallucce e lo guardai in attesa che continuasse.
«Una cosa non è semplicemente bella o brutta di suo, dipende dalle emozioni del singolo individuo. E’ il nostro cuore a suggerircele».
Ripetei nella testa quelle parole più e più volte.
«Okay, ma come si può trovare bella una macchina!? E’ una cosa così… incolore! Non intendo nella realtà, ovviamente, ma in senso figurato. E’ trasparente».
«Pensaci: un meccanico potrebbe non essere d’accordo con te, o un ingegnere o chissà chi. Ma è bello il fatto che tu dia un colore alle cose. Facciamo un gioco, ti va? Bene, devi descrivermi il colore di alcune cose che ti chiederò. Ovviamente non il loro vero colore, ma quello dell’emozione che ti fanno provare. Iniziamo con questi palazzi».
«Uhm, va bene».
Continuando a camminare verso chissà dove, mi misi a fissare ogni edificio che mi capitava a tiro. Ce n’erano di svariati, con altezze, colori e forme diverse. Erano tutti nuovi, la prova di una società in evoluzione. Nessuno di quelli, però, aveva il fascino del passato che ti fa provare qualcosa.
«Bianco. Non limpido, ma opaco, sporco. Per niente rassicurante. La brutta copia di quel bianco pulito e profumato».
Lui annuì.
«E ti piace?»
«No, scherzi?!»
Rise e non disse nulla per un po’.
«Okay, ora voglio che tu chiuda gli occhi» sentenziò fermandosi subito prima di svoltare l’angolo.
Lo guardai titubante, poi feci ciò che mi chiese.
Sentii le sue mani sulle mie spalle per guidarmi e mi sentii subito rassicurata. Dopo pochi minuti, mi fece fermare.
«Bene, siamo arrivati. Puoi guardare, ora».

(continua)