(di Denise Ruggeri, II C
scientifico)
Dopo qualche lungo
minuto di silenzio, si voltò verso di me e finalmente parlò.
«Cosa pensi delle
macchine?»
Mi girai sorpresa
verso di lui.
«Come?» chiesi
confusa.
«Quando guardi una
macchina passare, ti viene da pensare che sia bella?» chiese tornando a
guardare la strada e le varie auto che passavano veloci.
Ci riflettei su,
guardai anch’io le auto e alla fine risposi sinceramente.
«No, niente affatto».
«Okay. Perché?»
«Non lo so, non mi
viene nemmeno da dire che siano brutte. Semplicemente non provo nulla quando le
guardo».
«Bene, e sai perché?»
chiese sorridendo.
Feci spallucce e lo
guardai in attesa che continuasse.
«Una cosa non è
semplicemente bella o brutta di suo, dipende dalle emozioni del singolo
individuo. E’ il nostro cuore a suggerircele».
Ripetei nella testa
quelle parole più e più volte.
«Okay, ma come si può
trovare bella una macchina!? E’ una cosa così… incolore! Non intendo nella
realtà, ovviamente, ma in senso figurato. E’ trasparente».
«Pensaci: un
meccanico potrebbe non essere d’accordo con te, o un ingegnere o chissà chi. Ma
è bello il fatto che tu dia un colore alle cose. Facciamo un gioco, ti va?
Bene, devi descrivermi il colore di alcune cose che ti chiederò. Ovviamente non
il loro vero colore, ma quello dell’emozione che ti fanno provare. Iniziamo con
questi palazzi».
«Uhm, va bene».
Continuando a
camminare verso chissà dove, mi misi a fissare ogni edificio che mi capitava a
tiro. Ce n’erano di svariati, con altezze, colori e forme diverse. Erano tutti
nuovi, la prova di una società in evoluzione. Nessuno di quelli, però, aveva il
fascino del passato che ti fa provare qualcosa.
«Bianco. Non limpido,
ma opaco, sporco. Per niente rassicurante. La brutta copia di quel bianco
pulito e profumato».
Lui annuì.
«E ti piace?»
«No, scherzi?!»
Rise e non disse
nulla per un po’.
«Okay, ora voglio che
tu chiuda gli occhi» sentenziò fermandosi subito prima di svoltare l’angolo.
Lo guardai titubante,
poi feci ciò che mi chiese.
Sentii le sue mani
sulle mie spalle per guidarmi e mi sentii subito rassicurata. Dopo pochi
minuti, mi fece fermare.
«Bene, siamo
arrivati. Puoi guardare, ora».
(continua)