di Riccardo Formica, classe I A Liceo Scienze Applicate)
E’ notte, c’è molto freddo qui in
mezzo al mare, il vento soffia forte e schizzi d’acqua gelida mi bagnano i
vestiti.
Mi chiamo Modu, ho undici anni e ho
l’Africa nel cuore.
Il mio viaggio è cominciato molti
giorni fa, sono nato in un villaggio desolato dell’Eritrea, ma gli orrori della
guerra mi hanno portato via anche quello.
Io ed i miei genitori abbiamo
camminato a lungo nel deserto per raggiungere la Libia, un cammino verso la speranza,
che si chiama Europa.
Il nostro sogno si è infranto lì,
perché ci hanno rinchiusi e obbligati ai lavori forzati: i soldi che avevamo a
disposizione non erano abbastanza per imbarcarci.
Ho visto i miei genitori distruggersi
dalla fatica, ma il dolore più grande è stato vederli vendere come schiavi,
solo per dare a me una possibilità di vita migliore.
“Andrai da solo” ha detto mia madre,
“Sei minorenne, non potranno rimandarti indietro, Dio è grande, forse un giorno
ci rincontreremo”.
Mi hanno accompagnato sulla costa, e
lì sono salito su un vecchio barcone di legno.
In questo momento, solo il ricordo di
quell’ultimo caldo abbraccio può darmi il coraggio di resistere, schiacciato
tra centinaia di compagni disperati come me.
Nel silenzio della notte, sento solo
pianti, lamenti e preghiere, ma all’improvviso il buio non è più assoluto: vedo
qualcosa, luci basse, lampeggianti sul mare, e sento una sirena assordante: il
suono della libertà.