di Gabriele Santolo (5B Classico)
Nel teatro della società moderna, la parrhesia, quella sacra libertà di espressione celebrata come un pilastro della democrazia, spesso crolla sotto il peso della sua stessa ipocrisia. La nostra epoca, viziata dalle apparenze, ha trasformato la parrhesia in una commedia grottesca, il cui protagonista è soffocato dalle maschere della censura e dell’oppressione. Ci troviamo così sotto i riflettori di un mondo in cui la parrhesia, una volta considerata l’arma della verità, è ora relegata a un burattino nelle mani di regie oscure. Mentre il sipario si alza sul palcoscenico della vita politica, assistiamo all’ironica danza delle parole, dove la retorica delle promesse si scontra con la tragedia della realtà. Tuttavia, i drammi classici insegnano che la libertà di parola non può essere soppressa né ingabbiata, né dai vincoli etici, né dalle “notizie ufficiali”. Guardando al passato, alle antiche voci ribelli della Grecia classica, la parrhesia era ammirata, incarnata da filosofi e impavidi oratori, i quali sfidavano il potere con la sola forza inebriante delle loro parole. Eppure, nella nostra era di illusioni e realtà filtrate, la parrhesia è una mera comparsa nello spettacolo della vita moderna. Ma non siamo condannati a essere solo spettatori passivi in questa commedia dell’ipocrisia. Possiamo ancora gridare la verità come coloro che un tempo osavano sfidare i tiranni e i conformisti, per evitare ulteriori repressioni brutali di giornalisti, politici e proteste pacifiche o per non censurare ridicolmente gli artisti. Quindi, mentre il sipario si abbassa su questa farsa moderna della libertà di parola, bisogna ricordare cos’è davvero la parrhesia. Perché è meglio dire la verità e subirne le conseguenze che vivere nell’ombra delle menzogne, nella speranza che anche quando il palcoscenico della vita moderna voglia soffocarci, ognuno possa liberamente esprimere il suo pensiero.